Secondo Casadei nasce nei primi anni del Novecento nella frazione di un piccolo Comune dell’entroterra romagnolo, Sant’Angelo di Gatteo, fra il cesenate e il riminese, nel Palazzo Briganti, la prima casa a sinistra dopo il ponte sulla Rigossa, affluente del più noto e illustre Rubicone, che passava a pochi chilometri di distanza dal Comune di Savignano di Romagna, in cui Casadei vivrà la parte successiva della sua vita, divisa dagli anni spezzati della guerra e poi ricominciata nelle difficoltà del secondo dopoguerra, proseguita nella riconquistata popolarità, con la composizione di Romagna mia, precocemente conclusa, dopo il decennio della consacrazione, all’inizio degli anni Settanta.
Un pugno di case, una chiesa, qualche spaccio, due osterie, il barbiere, il fabbro e il fornaio, il calzolaio, il sarto; lavoro poco e precario, alle scuole elementari si poteva frequentare solo la prima classe. Si viveva della terra, da contadini, fittavoli e mezzadri, i cui prodotti si scambiavano con altri beni alimentari o manufatti artigianali, come scarpe e abiti. Nel piccolo borgo c’erano in compenso due locali adibiti al ballo (dalla Rosina e da Carlein d’Imbrùs), dove si tenevano le piscàze (feste da ballo pubbliche) e i veglioni, di cui quello più rinomato era per Sant’Antonio abate, il 17 gennaio. Per entrare alla piscaza si pagavano due lire, cinque o sette per i veglioni.
Nello stesso periodo, già sul finire dell’Ottocento, sulla costa adriatica che distava una manciata di chilometri, la mania per i ballabili degli Strauss aveva raggiunto il suo picco più alto e negli ambienti dell’alta borghesia danze come la polca e la mazurca erano già considerate sorpassate, balli “campestri” non più appetibili per i gusti raffinati di una mondanità che di anno in anno bruciava le mode dell’intrattenimento alla ricerca di continue novità. Il raffinato valzer era ancora praticato ma già negli anni Dieci del Novecento il viennese era stato spodestato dal più voluttuoso ed esterofilo boston e da un nuovo ballo proveniente dall’America, il two step, sostituito poco tempo dopo dall’one step. Della prima guerra mondiale Casadei non accenna nei suoi ricordi, che balzano al 1919, ad una adolescenza irrequieta e precoce: “A 13 anni quando ebbi modo di ascoltare le prime orchestrine di ballo nelle balere fui attratto subito da una passione per la musica e il giorno dopo cantavo questi motivetti ascoltati facendo la parte del clarino, la voce, mentre con due bachetti imitavo tutto il movimento del violino” (1). Allora non si chiamavano balere, termine venuto in uso nel secondo dopoguerra per designare i luoghi popolari del ballo pubblico; quelli che frequentava erano i cameroni, le pescacce, le sedi di circoli ricreativi, di leghe, di società di mutuo soccorso, di sodalizi politici, che si erano diffusi a macchia d’olio nelle borgate, nelle campagne, nei centri urbani sull’impulso di una appropriazione del divertimento, del tempo libero, dei momenti di festa associati all’appartenenza politica che, a differenza delle effimere mode mondane dell’alta borghesia vacanziera, avevano messo radici profonde nelle passioni e nelle consuetudini dei ceti meno abbienti. A cominciare dall’antesignano e idolatrato Carlo Brighi, orchestre e orchestrine si erano moltiplicate con il proliferare delle occasioni di festa e di ballo; Casadei ricorda le più rinomate e richieste: quella di Emilio Brighi, figlio di Carlo, quella di Legni, detto e Sgous, Bruto Gentili di Cesenatico, ma ce n’erano molte altre altrettanto rinomate e in auge in tutta la Romagna, come i Fratelli Fusconi, detti I Galvèn, di Mensa Matelica (Ra), Aldo Bavolenta di Cervia, Romolo Zanzi di Meldola. Un manifesto commemorativo del decennale della morte di Carlo Brighi, nel 1926, elenca una cinquantina fra musicisti e capiorchestra, tra cui ritroviamo, oltre a quello di Casadei, i nomi di progenitori di orchestre leggendarie.