Il “Rubicone” del ballo romagnolo
Sino alla metà dell’Ottocento le danze contadine in voga erano il saltarello e il trescone, di carattere prettamente romagnolo, la manfrina, la padvanèla, la furlana e il bergamasco, che si eseguivano a coppie staccate, con giri, salti e minuetti. Si ballava quasi esclusivamente per carnevale e in qualche altra ricorrenza speciale, al suono di un semplice zufolo o di un organetto. C’erano poi dei balli particolari, che abbinavano la musica e la danza al gioco, in modo da movimentare le lunghe veglie e tener viva l’atmosfera: erano i cosiddetti balli della scranna e dello specchio, della mela e del fiasco, dei gobbi e dello schioppo, e via dicendo, ampiamente documentati dal musicologo Balilla Pratella (22).
Agli inizi del secolo scorso nella tradizione classica del valzer si distinguevano il viennese, lo scozzese, il francese e il boston americano. Nella nascente coreutica popolare locale, il valzer aveva preso
un carattere spiccatamente romagnolo che consisteva nel fare le cosiddette terze, cioè tre giri per ogni quarto di battuta e con la fermata improvvisa alla fine di ogni parte. Nei pizzicati poi, il ballerino converte il ballo strisciato in ballo saltellato a cadenze. Altre volte certi bravi ballerini si piegano leggermente sulle ginocchia per poi riprendere sempre a tempo di musica il ritmo della danza (23).
Già esisteva una di identità del ballo non solo romagnola ma municipale, raccolta intorno a quello che è stato successivamente definito “il triangolo del folklore” della danza, che aveva come estremi Ravenna, Faenza e Forlì, così come l’ombelico dell’eccellenza musicale si raccoglieva intorno al Rubicone, con estensioni sulla costa a Cesenatico, nell’entroterra a Predappio.
Ad una codificazione della musica da ballo romagnola si giunge dopo gli anni Venti del Novecento, quando le orchestre cominciano a scambiarsi partiture e repertori musicali. Ma per il ballo, pur ispirato dalla musica e progressivamente riplasmato da reciproci interscambi, si fa più arduo individuare il percorso di una formazione più che mai legata ad una memoria orale perduta, risultato degli apporti soggettivi di una inesausta inclinazione inventiva. I balli di coppia di importazione si eseguivano con ordine ed eleganza, sottoposti alle regole di un maestro di ballo o di sala. Di musicisti e formazioni orchestrali abbiamo ereditato e conserviamo, oltre al patrimonio di Secondo Casadei, il cospicuo repertorio ottocentesco dei milleduecento ballabili di Carlo Brighi, Zaclèn, molte partiture di orchestre non meno leggendarie (solo per citarne qualcuna, Emilio Brighi, Romolo Zanzi, i fratelli Fusconi, i Galvèn, Bavolenta), incisioni discografiche che ci consentono, attraverso le preziose raccolte di collezionisti, di conoscere e riascoltare le esecuzioni del tempo; un numero sorprendente e infinito di orchestre da ballo, antiche e recenti, si trova descritto e catalogato in meticolose raccolte che ne ricostruiscono l’identità e l’evoluzione (24). Invece, sino a mezzo secolo fa, che pure rappresenta un arco temporale significativo ma non sufficiente, non ci sono stati ballerini o maestri di ballo che abbiano descritto e trasmesso le modalità del ballo di coppia in Romagna tra Otto e Novecento. Prima in ambito urbano, poi nelle zone costiere e nelle campagne, il processo di sincretismo fra le danze folkloriche e i nuovi balli di coppia inizia a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento, attraverso l’invenzione continua e costante di movenze e stili di ballo da parte di ballerini particolarmente dotati. Sino alla seconda guerra mondiale si verificano ulteriori sviluppi, sia negli ambienti del ballo che nella ideazione di stili sempre più legati e corrispondenti alle evoluzioni musicali. Il ballo trova uno dei suoi luoghi privilegiati di riferimento nelle sedi di circoli ricreativi e politici e case del popolo, in cui si consumavano sfide roventi fra coppie di ballerini maschi. È da queste sfide che nascono i passetti della polka, il giro a sinistra del valzer e la parte saltata della mazurka. Alle competizioni fra orchestre, che si alternavano nello stesso locale durante un’unica serata, corrispondevano quelle dei ballerini, le cui esibizioni avvenivano di preferenza su tavoli e tavolini perché nel ballo romagnolo, rispetto ad altri stili regionali – il modenese dai passi lunghi e slanciati e il bolognese “alla Filuzzi”, con la piroetta e il frullone finale – i ballerini non ruotano al centro della pista ma rimangono fermi sul posto; le figure del ballo e le numerose variazioni vengono eseguite dalla coppia fronteggiandosi o girando velocemente su se stessa.