La passione per il ballo si era nel frattempo trasferita senza soluzione di continuità dai balli staccati a quelli di coppia. Cronache giornalistiche dell’epoca riferiscono del “ritmo incalzante della concitazione dionisiaca dei ballerini” (7), di una passione per il ballo “fino alla follia” (8), di donne che per il ballo disertano le funzioni religiose, di uomini che trascurano gli affari, di giovani che saltano le adunanze di partito. E lo fanno scatenando ed esaltando il movimento fino al parossismo, poiché il romagnolo “ha bisogno di muoversi con rapidità, sveltezza, e quindi i balli figurati, calmi, piani non gli vanno a genio. Ha bisogno di ‘sbattersi’ come dicono in romagnolo i contadini…” (9).
Nella seconda metà dell’Ottocento il ballo era già il “centro della vita sociale” (10) e “un punto fisso nel pensiero collettivo” (11). In concomitanza con l’affermazione della borghesia quale ceto emergente negli affari, nella politica, nella conquista degli ambiti del loisir, la dimensione dello svago e del divertimento, le occasioni festive e le nuove modalità di ricreazione e di aggregazione favoriscono contatti e relazioni fra le varie componenti della società, fra aristocrazia e borghesia, fra borghesia e ceti popolari. Dagli ambienti mondani del litorale la borghesia trasferisce tendenze, gusti e novità nella realtà cittadina. Nelle borgate e nelle campagne il mondo rurale apprende dalla frequentazione urbana consuetudini che introduce nelle tradizionali abitudini aggregative. Negli ambiti urbani dell’entroterra la penetrazione del ballo di coppia anticipa la sua massiccia espansione nelle campagne, favorita dalla consolidata presenza di un associazionismo politico e ricreativo vivace e articolato che, già avvezzo al ballo come occasione di raduno e di divertimento, diviene protagonista di affezioni e abitudini maniacali. L’affermazione e la diffusione della musica da ballo romagnola, oltre che dipendere da concomitanze e sinergie di consuetudini e aspirazioni collettive, va considerata in relazione al conseguente e rapido avvicendamento di circostanze sul piano politico, economico e sociale che investono in modo del tutto particolare ed emblematico la Romagna.
Nel 1843 era sorto a Rimini il primo stabilimento balneare, seguito nel 1873 da quello tutto rinnovato del Kursaal, che ospitava al piano rialzato, oltre alla sala di lettura, al ristorante e al caffè, un grande salone da ballo. Collegata allo stabilimento da un ponte sorgeva la piattaforma sul mare, con al centro dei suoi seicento metri quadrati un chiosco chiamato Pagoda cinese. Regina della nascente industria delle vacanze, Rimini era divenuta in breve l’Ostenda d’Italia, per il suo richiamo vacanziero, per le abitudini eccentriche, per le mode repentine e trasgressive consumate nell’avvicendarsi delle stagioni. È il punto di riferimento della villeggiatura dei ricchi, dell’alta borghesia che incrementa il proliferare di locali raffinati ed esclusivi e di ambite feste da ballo all’insegna di abiti sfarzosi e di sfavillanti coreografie. Mentre la riviera romagnola si avviava a diventare una capitale delle vacanze e una fucina di moda e di mondanità, la Romagna di metà Ottocento si affermava come una sorta di capitale dell’associazionismo popolare e politico, un laboratorio esemplare “non di un regionalismo etnocentrico” (12) ma di un “processo di nazionalizzazione nella periferia del nostro paese” (13) che sarebbe sfociato dopo l’unità d’Italia nel “caso Romagna”. La Romagna delle sette e delle corporazioni, dei violenti, dei banditi e degli accoltellatori, la Romagna antigovernativa e antireligiosa: un caso nazionale e anomalo che come tale andava affrontato e risolto. È in questo scenario che il musicista Carlo Brighi detto Zaclèn impianta a Bellaria dapprima un tendone mobile, poi un vero e proprio salone da ballo dove iniziano a furoreggiare quei balli “rustici” già disdegnati dalle élite della villeggiatura e fulmineamente attecchiti nella consuetudine popolare rivierasca e cittadina: il valzer, la mazurka e la polka, insieme a rare manfrine e quadriglie (14). Furono dunque i primissimi anni del Novecento “a sancire il passaggio dagli ambienti dell’alta società a quelli più popolari di quella musica che andrà a costituire le fondamenta di un genere chiamato caparbiamente ‘folk romagnolo’” (15). La musica da ballo romagnola ha dunque origini colte. È al repertorio dei valzer viennesi che si ispira lo Strauss della Romagna, Carlo Brighi di Fiumicino di Savignano, povero di nascita, musicista autodidatta e di professione, che per quarant’anni ha imperversato con i suoi ballabili, che faceva impazzire i ballerini per la sua capacità di creare una sintonia fra musica e ballo scaturita dall’intuito che l’ispirazione della sua musica dovesse incontrare le aspirazioni della gente come lui, dei contadini che vagheggiavano la città, del popolo della costa marinara e contadina.