“Quando finì la guerra, lo vidi nell’autunno del 1945 a Savignano che prese la Sita con me e pensai che fosse finito: aveva fatto ballare la generazione che aveva venti anni più di me. Poi lo rividi nel 1952 in un veglione dei socialisti a Premilcuore, esattamente il 12 gennaio. I suonatori erano stati tutti con me nella Banda militare: Gori la tromba, i fratelli Fariselli di Cesenatico, Battelli la chitarra, Bonoli il violino, Baiardi il saxofono e la fisarmonica. Mi sorprese la grande volontà di Casadei di essere giovane. Oggi nella formazione Casadei non c’è più nessuno dei miei vecchi amici della Banda dell’11° che era in Grecia. Ma l’orchestra è Casadei ugualmente. Sulle teste dei ballerini di tre e quattro generazioni sono passate guerre, la vita ha dato nuove mode, il lavoro ha costruito macchine incredibili, le comunità si sono mescolate, ma quando ‘i Casadei’ sono tutti in piedi che suonano, sotto il palco dell’orchestra cento e cento persone mandano dai loro occhi luci di piacere e il movimento della sala che balla è come un cuore che respira meglio, oggi, come dieci anni fa, come venti, trenta anni fa. Romagna mia, e ciascuno di noi pensa a quella Romagna che non è più sua, che è in sostanza la sua vita, e in quel motivo chiaro, nelle parole e nella musica, di quella e delle altre composizioni, senti e vedi colori e cose che vivono nella evocazione delle note sonore. Disperata, In bocca al lupo, Atomica 1962. Incredibile! Siamo nel 1924? O nel 1937? No, nel 1963. Eppure…” (7). Questa testimonianza di un romagnolo come tanti risale ad oltre cinquant’anni fa, agli anni del decennio fortunato. Eppure…
Con il denaro Secondo continua a mantenere lo stesso rapporto di tanti anni addietro, di quando era agli esordi: non gli piaceva averlo per sé ma darlo alla famiglia; quando rientrava dalle serate e trovava i genitori ad aspettarlo spargeva i soldi sul letto sotto i loro occhi increduli. Così aveva anche riconquistato la stima della suocera, sdegnata dall’abbandono della figlia il giorno delle nozze per amore della musica, proprio dimostrando che quella musica valeva tanto.
Un giorno arrivarono i diritti d’autore, ne tenne un po’, era la fine di Carnevale, si era fatto dare un bel po’ di banconote dalla banca dal taglio più piccolo, poi le ha distribuite tutte all’entrata, come si apriva la porta sul corridoio c’era una fila di banconote che andava su per le scale. Quando è entrata la suocera ha cominciato a raccogliere tutte le banconote, ha detto: “Marì ,che brav’uomo che hai sposato! Tci una sgnoura! Sei una Signora!” (8).
In tasca non aveva mai un soldo, neppure per offrire il caffè o comprarsi le sigarette ma non gli mancava mai una penna, per scrivere appunti, recapiti o addirittura le note di una improvvisa ispirazione musicale.
La mamma diceva: “Secondo, ma tu non sei il capo orchestra?”, “Si, perché?”, “Ma perché sono due tre mesi che non porti a casa un soldo?”. Lui dei soldi non si curava per niente, disinteressato al massimo. Tanto è vero che delle volte offriva il caffè agli amici poi se lo doveva far pagare perché non aveva i soldi. E infatti la mamma, ogni tanto, alla fine di ogni mese, mese e mezzo, due, andava a fare il giro dal bar, dal tabaccaio – che lui fumava – andava a pagare tutto. E in tasca magari cosa ci trovavi? Ci trovavi la penna, la matita, perché quando gli veniva qualche spunto doveva scrivere; la mamma sgridava perché rovinava tutte le tasche con queste penne, delle volte si è scritto anche sui polsini delle camicie, il guaio era che allora avevano una camicia, due. Oppure scriveva gli spunti sulle scatole delle sigarette (9).
Il motivo è che aveva sempre la musica che gli girava in testa.