Il Diario si interrompe al 1938, in una fase della biografia corrispondente all’apice del crescente successo che aveva portato Casadei ad esibirsi con la sua orchestra nei più prestigiosi locali dell’entroterra romagnolo, ad essere ingaggiato per intere stagioni estive in sale e luoghi di ballo della riviera, ad incidere per diverse case discografiche molte delle 230 composizioni sino ad allora create.
La storia successiva la conosciamo attraverso le testimonianze dirette e indirette della stampa periodica, dei documenti custoditi dalla famiglia, dei ricordi di colleghi, musicisti, testimoni di un’epoca: il disastro della guerra e la sospensione forzata di ogni attività; la ricerca di qualunque lavoro per sopravvivere, la distruzione della casa di Sant’Angelo e il trasferimento a Savignano. Subito dopo la liberazione la ripresa, dapprima con qualche concertino per i militari ancora stanziati in Romagna, poi per la gente che, non ancora uscita dalla disperazione e dall’emergenza, voleva a tutti i costi incontrarsi e far festa, ballare dove capitava sulle macerie ancora fumanti. Insieme alla libertà gli anglo-americani avevano portato con loro le novità musicali d’oltreoceano, l’irresistibile boogie woogie, la voglia di cambiare e di dimenticare. Arriva per Casadei l’umiliazione dei fischi e degli scherni perché suonare un valzer era come parlare di cose sconce davanti a una signora. Si era tornati a ballare nei vecchi cameroni, ce n’era uno anche a Sant’Angelo di Gatteo, da Carlein d’Imbrùs, l’osteria nota per la cacciagione. Un sabato sera di carnevale del ’48, con il camerone pieno di gente, Secondo viene fischiato e sbeffeggiato anche lì, proprio dove era nato, dove tutti lo conoscevano e gli volevano bene. Quando rientrava dalle serate, in quei tempi di scarse soddisfazioni, passava sempre a vedere i suoi figli addormentati e tutte le notti, oltre ad una carezza lasciava sul comodino un piccolo dono.
I primi ricordi sono quelli legati alla notte verso il mattino, quando mio padre veniva a casa da suonare, a qualsiasi ora veniva a salutare me e Giampiero, mio fratello, e allora sentivo nel dormiveglia la coperta che si muoveva, mi scopriva un poco, mi dava un bacio sulla fronte, a volte raccontava qualcosa, a volte no. E si sentiva la mamma di là, nella camera attigua, dove dormivano loro: “Lascia stare quei bambini, che domattina devono andare presto a scuola, si devono alzare, non li svegliare!”. Però lui, a seconda delle volte, ci svegliava o no. Tutte le notti ci lasciava sul comodino qualcosa: abbiamo iniziato con le caramelline, le Resoldor, una scatola con un buco da una parte, una Resoldor per uno, che erano microscopiche. E poi siamo andati a finire a tre quattro garibaldini – noi li chiamavamo così – che erano quelle caramelline di zucchero, tonde, senza carta, di tutti i colori. Poi siamo passati alla caramella, al cioccolatino, al bacio (1).
Di giorno, non essendo un periodo di pressati impegni, passava il tempo con i figli, raccontava storie favole mediate dalla sua inventività.
Soprattutto era a casa nei primi anni dopo la guerra, perché c’era poco da fare e le serate non erano tante. Mi metteva a sedere molte volte sulle ginocchia e, data la sua grande passione per la musica, nelle favole che mi raccontava i Sette nani erano un’orchestra, Biancaneve era una cantante che duettava nel bosco con gli uccellini, il Gatto e la Volpe erano due cantastorie che andavano per osterie a cantare e suonare con la fisarmonica e la chitarra, il Principe azzurro andava a scuola di clarinetto in do e la Nonna aveva aperto una scuola di ballo nel bosco con il guardacaccia, in società (2).
La musica c’era sempre, persino nei nomi degli animali casa.